Vivere l’incertezza

Superato lo sconcerto si può ripartire. Speriamo, su basi più profonde.

Non è certo la prima volta che l’essere umano si trova impegnato ad affrontare un situazione spaventosa e terrificante. Non è quindi vero che il coronavirus ci ha trovati completamente impreparati.

Nel lungo processo evolutivo, quando l’uomo (forse addirittura 200 mila anni fa) emerge come creatura cosciente di vivere, eredita una storia evolutiva che conta 13-14 miliardi di anni e si trova su di un pianeta Terra che ha già 4 o 5 miliardi di anni. Innumerevoli altre forme di vita vegetale prima e poi animale erano apparse. Esse avevano imparato a ritagliarsi un loro spazio vitale, a mantenere e a trasmettere le informazioni necessarie per la loro riproduzione, a riprodursi in forme di vita sempre più complesse, facendo leva sulla competizione, ma soprattutto sull’interazione e la solidarietà. L’uomo eredita tutto questo sapere; ma in più acquisisce la coscienza: una situazione per lui completamente nuova e scombussolante.

All’inizio non può che sentirsi disorientato ed estraniato. Tutto ciò che lo attornia e di cui non sa darsi spiegazioni lo spaventa: il sole, la luna, le stelle, le stagioni, la pioggia, il fulmine, il tuono. Lo invade l’angoscia, lo smarrimento, il senso di inadeguatezza. Meglio sarebbe regredire. Anche per sfuggire alla angosciante presa d’atto che ogni forma di vita sfocia nella morte: un fatto naturale per le altre forme di vita, ma innaturale e paralizzante per lui. La coscienza di morire impone l’interrogativo sul perché della vita, sul suo senso. Ci vorrà del tempo perché l’uomo impari a sentirsi sicuro, a vivere di meraviglia, ad acquisire coraggio, a sentirsi capace di competere o interagire.

Ogni nascita in una qualche maniera rivive e riproduce questo travaglio. Per certi versi sarebbe più rassicurante rimanere nel ventre della madre. Non è certo facile vivere separandosi, affrontare il proprio futuro, imparare ad interagire, e a fare i conti con la morte.

La vita infatti può essere vissuta come un destino assurdo o come un dono prezioso, come imposizione o come compito. Per non lasciarci angosciare dalla morte abbiamo escogitato tante forme di sopravvivenza sane o balorde e sviluppato l’idea di eternità. Abbiamo accumulato potere. Ci siamo arrogati il diritto di infierire sulla madre Terra infliggendole ferite ben più gravi di quelle che noi stiamo subendo per il coronavirus. Messi a nudo dalle catastrofi naturali o dalle tragedie indotte dalla nostra tracotanza, siamo obbligati di volta in volta a ricominciare da capo, su basi più profonde, meno competitive, più umane, più attente alle relazioni. Ma questo avviene dopo che abbiamo elaborato lo shock iniziale, il trauma per ciò che avevamo perso e la sensazione conseguente di smarrimento. L’angoscia a quel punto lascia spazio alla speranza, la paura si articola con il coraggio, la disperazione con la fiducia. Si ricomincia a sognare e a progettare. Sono risorse inscritte nel nostro DNA.

Venendo a noi sarebbe quindi questo il momento per prendere atto degli errori fatti, dell’assurdità di essersi mossi sulla base dell’inimicizia e della competitività, di aver messo al centro logiche di guerra invece che di cura e attenzione reciproca, di aver dato troppo spazio alla fretta, all’accumulo, al consumo a scapito dell’interiorità.

Scopriamo adesso la nostra natura umana più profonda e autentica: siamo esseri relazionali, dipendiamo tutti l’uno dall’altro, abbiamo bisogno di tenerezza, di cura. Certo possiamo tutti essere colpiti o contagiare, ma possiamo anche tutti lasciarci colpire e contagiare dall’amore. Scopriamo probabilmente in forma muova anche la forza del mondo spirituale, che costituisce il nostro profondo.

Su questi valori ci è concesso di sognare e costruire un altro tipo di mondo, biocentrato, in cui l’economia sostiene una società globale integrata, resa più forte da alleanze affettive piuttosto che da patti giuridici. Sarà la società della cura, della gentilezza e della gioia di vivere.” (Leonardo Boff -Adista n°15/2020)

Dario Fridel

Pubblicato su “IL SEGNO” Giornale Diocesano della Diocesi di Bolzano – maggio 2020