Antonio Zulato Le parole del dono, il dono delle parole

Una serata a Villa S.Ignazio a cura del Laboratorio di Educazione al Dialogo,
con la collaborazione della Associazione AMICI VSI
e del Servizio Animazione della Base della Cooperativa VSI

Una serata molto sentita quella di martedì 28 maggio 2019 con  la partecipazione di più di 90 persone.

Un dono, che parte dal maestro Antonio Zulato e dal Laboratorio di Educazione al Dialogo, per attivare una catena del dono, promuovendo il valore della gratuità e dalla reciprocità e contribuendo a mantenere più unita la comunità prendendosi cura del legame che ci unisce.

Il dono, la gratuità, costituiscono il fondamento dell’economia dei legami, (…) un’economia fatta di volontariato, di lavoro domestico, di cooperazione, di educazione e di crescita, di condivisione e di cura. L’enorme valore prodotto da questa economia “gratuita” è totalmente assente dalle statistiche che misurano la ricchezza di un paese; è considerato solo un valore sommerso, ma è l’unico a creare il bene più prezioso:  il legame, la coesione tra le persone.” (Antonio Zulato) 

Il  Gruppo Creatività (coop VSI) ha accolto i partecipanti alla serata donando loro un ricordo simbolico: un piccolo cuore colorato da mettere al collo, per ricordare l’impegno a donare a propria volta qualcosa a qualcuno, richiesto per la partecipazione all’evento.

La serata, presentata da Dario Fortin (Università di Trento ), si apre con un’introduzione al tema, nato dalle riflessioni all’interno del LED sulla società attuale, che sta perdendo la cultura della comunità con effetti distruttivi a livello individuale e sociale. Fortin pertanto ha richiamato il cuore come luogo di trasparenza, cura, scelta delle parole. Luisa Lorusso, a nome della Cooperativa Villa S.Ignazio, ha ricordato il valore dell’ascolto e sottolineato l’importanza dell’attenzione alle parole che le persone usano, mezzo per rivelare noi stessi e arrivare all’altro.

Il Gruppo Poesia, che da tanti anni si ritrova a Villa sotto la guida del maestro Renzo Francescotti, ha donato due poesie, una come apertura dell’incontro e una come chiusura. La prima poesia, “Ritorni”, dedicata al valore delle parole,  con sentimenti di tenerezza e nostalgia, di sospetto e di sorpresa è stata scritta da Clara Kaiserman e letta con passione da Laura Moser.   La seconda, “1999”,   dedicata al dizionario”Devoto-Oli”, con profondo sentimento quasi fosse un dolcissimo amante,  è stata scritta e letta da Fernanda Beozzo.

Antonio Zulato, studioso di filosofia e etimologia delle parole, formatore del LED e docente di autobiografia all’Università di Anghiari, ci ha introdotto in un percorso di riflessione sui significati originari di molte parole, significati da riscoprire per orientarci nella vita in modo da non perdere la nostra anima. Per questo Antonio ci ha regalato anche qualche aspetto profondo della sua vita, i doni da lui ricevuti, la forza che gli ha trasmesso quando era bambino la mano forte del papà che con tenerezza gli accarezzava la schiena e la povertà che lo ha reso umile, che gli ha insegnato ad affrontare la vita con modestia. “Per me la povertà è sfociata in umiltà perché i miei genitori l’hanno affrontata con dignità”. Per questo Antonio ci offre il suo dono, la riscoperta delle parole attraverso ciò che la vita gli ha insegnato, perché il dono è “non rassegnarsi alle cose così come stanno.”

Fra le tante, riportiamo alcune parole da riscoprire.

Comunità: da comunitas lat.: cum munus, cum significa insieme; munus significa: dono, ma anche obbligo, dovere. Come mai alcune parole originarie comprendono in sé significati opposti? Il concetto di dono è legato a quello di gratuità, mentre quello di dovere riporta a quello di obbligo. Si tratta di un dovere che viene da dentro di me, non dall’esterno, un dovere a cui nessuno mi obbliga se non me stesso. Pertanto il termine comunità ha un significato diverso da quello di società. Societas deriva da socius, che è colui con il quale mi accordo per raggiungere un determinato obiettivo. In munus c’è la radice mei che vuol dire giustizia, scambio. Parliamo nella comunità di un atto dovuto (obbligo) che deve scaturire spontaneo (dono) per uno scambio secondo giustizia.

Quindi comunità è un insieme di persone (cum) che si scambiano (mei), secondo giustizia (mei), doni (munus), sentiti come un dovere (munus), perché ognuno dà quanto riceve... in altro modo.

Ma noi viviamo in una società sfalsata nel rapporto con le cose e la natura e nel rapporto con le persone. La competizione porta allo sfruttamento degli uomini e dell’ambiente. E’ necessario rimettere la competizione nel suo significato originario che deriva da cum-petere, cioè sforzarsi di raggiungere insieme. Noi usiamo il termine competizione come sinonimo del prevalere su o contro qualcuno. E’ stato capovolto il significato originario e ora ci manca la parola per ricordarci il raggiungere insieme. L’economia competitiva ci ha esonerato dal prenderci cura insieme  dell’umanità. Per questo è necessaria una conversione, cioè un passaggio dall’adeguamento a un sistema, alla legge della gratuità. E come Calvino in Città invisibili, Antonio ci invita a “cercare e riconoscere chi e cosa in mezzo all’inferno non è inferno e farla durare e darle spazio”. Così è la nozione di verità per i Greci: aletheia, il non nascosto. La verità sta nascosta, tocca a noi tirarla fuori dal nascondimento. Il verbo però non significa nascondere, ma non accorgersi: la verità ce l’ho già qui e accorgersi significa dirigere il cuore verso, essere vigili, attenti. E quindi: entrare nella logica del dono e iniziare un cambiamento personale che a propria volta inizia un cambiamento sociale. L’economia del dono ci porta alla relazione (dal lat. Relatum, referre: riportare), in cui non si guarda alla persona come a una possibile fonte di guadagno, ma come a un altro a cui si porta qualcosa.

E’ necessario anche essere giudici (da ius dicere: dire ciò che è giusto), essere critici (da crino: setaccio), capaci di distinguere, di mettere le cose al loro posto. Il percorso educativo implica dunque l’ esercitarsi alla vita (melete: cura – esercizio) e per gli antichi la filosofia era esercizio di vita. I valori sono ciò che i popoli hanno capito importante per stare bene insieme e li attingiamo dai Libri Sacri di tutte le culture. Valeo: sono forte, robusto, sto in piedi da solo; valore quindi  è ciò che non ha bisogno di essere giustificato. Per noi valori individuali e sociali di riferimento sono i diritti umani, che si fondano sulla dignità della Persona. La dignità di un essere umano consiste nel fatto che le sue caratteristiche specifiche  (aretè) gli appartengono intrinsecamente e originariamente come valore.  Riconoscere questo a ogni persona  significa rispettare la sua dignità.

Nell’incontro con l’altro abbiamo bisogno di compassione che è  qualcosa che si muove dentro, di sentito nelle viscere. Quel qualcosa che si muove dentro significa che “Tu mi riguardi” e riguardare vuol dire prendersi cura. La compassione quindi è una struttura essenziale dell’umano, che ci fa riconoscere noi stessi, ci permette di riconoscerci nell’altro. Abbiamo bisogno anche di gratitudine  cioè memoria di ciò che ognuno di noi deve agli altri. Ricordare  vuol dire  riportare al cuore.

Nella nostra società guardiamo la natura in funzione nostra e alle cose in funzione del nostro interesse perdendo il rapporto con l’essenza delle cose e con la loro bellezza. Possiamo cogliere questa bellezza solo se ascoltiamo ciò che sentiamo dentro, con un atteggiamento non possessivo e non strumentale, ma di gratitudine e rispetto. Per questo perfezione e perfezionare, assumono significati diversi. Dal lat. Perferre: portare a termine qualcosa in base a un modello esterno, o dal lat. Perficere, portare a termine le mie potenzialità interiori, e quindi fare tutto fino in fondo. Così per agire, dal lat. agere, faticare per condurre, per cui il termine atto tiene conto dello scopo, mentre fare, dal lat. facere, implica una somma attenzione alla fattura dell’oggetto. Pertanto fare vuol dire  eseguire un compito: lo scopo sta nel manufatto, nel fare bene il manufatto. Agire vuol dire  :  lo scopo va oltre il “fatto”. In altre parole il fatto si concentra sull’oggetto e l’atto sullo scopo. Nella dinamica scolastica, il primo della classe ricerca la perfezione per una spinta che nasce dall’interno, gli altri per raggiungere un modello esterno.

Diventa evidente la dinamica fra il dentro e il fuori, fra l’ascoltare sé e l’ascoltare l’altro. Così anche nel termine obbedienza, da ob audio, stare davanti con desiderio, con passione. “Dimmi che ti ascolto”. Se ti ascolto sono umile, non vuol dire che poi devo fare ciò che tu dici, perché sono libero, decido io.

L’ altro. Risalendo all’indoeuropeo la sillaba al indica…avviare (A-) un avvicinamento…e un allontanamento (-L-). ter…significa di fronte.

Nella sua origine la parola altro ci dà delle indicazioni precise e preziose: altro è chi ci sta di fronte perché noi iniziamo verso di lui un percorso di avvicinamento… per poi allontanarcene…riportandolo dentro di noi (relazione, ciò che porto indietro…). È un processo dinamico che porta alla consapevolezza di sé … attraverso la conoscenza dell’altro che però richiede un percorso continuo di autoriflessione. L’altro dovrebbe sentire che io lo guardo e mi prendo cura, ma anche che non perdo di vista me stesso.

Felicità da fela, mammella, e da felare, succhiare. Felicità è quella del bambino che succhia il nutrimento della vita ma anche il calore della mamma. Eudaimonia: raggiungere il bene (eu), realizzando il proprio genio individuale (daimon), che noi capiamo nella relazione con l’altro (nel daiomai, dividere, banchettare). Felicità pertanto è avere ciò che a ognuno serve per realizzare le sue potenzialità. Che è quanto dire che la felicità è un diritto per ogni bambino che viene al mondo. E che ogni essere umano deve avere quanto gli serve per realizzare se stesso.

Parole che ci comunicano una conoscenza profonda, diversa dalla scienza. Sapere e sapore hanno la stessa radice: avere il profumo, l’odore, il gusto di ciò che ho dentro. Non ha a che fare solo con la testa. Ci rimanda alla fede, al credere che la conoscenza profonda della vita che attraverso il significato delle parole ci arriva da lontano, ha a che fare con la nostra più profonda umanità. Abbiamo bisogno di un ascolto profondo di noi stessi e dell’altro e di un dialogo poetico fra noi, di parole che vengono dal cuore come poesia.

Giuseppina Gottardi

Il dono e la gratuità

di Antonio Zulato

Le parole del dono

28 maggio 2019